Siamo all’inizio di una epidemia virale da CoVid-19. Abbiamo risposte specifiche per i nostri pazienti?

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Prime raccomandazioni operative per il reumatologo dell’Ospedale e del Territorio

Sono molteplici le richieste di maggiori informazioni dei pazienti in trattamento con uno o più farmaci immunosoppressori che giungono a noi reumatologi in queste ultime ore.

Al momento in cui scriviamo sono stati segnalati 78 casi in Italia di infezioni da CoVid-19 (paese europeo più colpito al momento) di cui 2 mortali. E’ molto difficile ricostruire in poche ore il rischio di mortalità di tale epidemia, ma se mutuiamo i dati cinesi (1-2) si potrebbe verificare un massimo del 2,3% delle persone infettate. Fuori dalla Cina tale mortalità è però molto minore, probabilmente per maggiori diffusioni di ospedali e più capillare organizzazione del sistema sanitario. E’ quindi troppo presto per emanare precise e specifiche raccomandazioni a proposito e al momento nessuno può dire se sia più a rischio di infettarsi un paziente anziano o un immunodepresso da farmaci, oppure se tutti siamo allo stesso rischio.

Certo le notizie, più di cronaca che scientifiche, sembrano delineare un problema infettivo a larga diffusione, ove l’untore perde le connotazioni di razza cinese o recente viaggio in Cina, paziente fragile o quant’altro. Abbiamo visto che soggetti apparentemente sani possono diventare vettori infettivi senza ammalarsene per lungo tempo e che l’incubazione appare molto più lunga di altre patologie virali. Forse è proprio quest’ultimo dato a causare maggiore insicurezza e preoccupazione. Non sappiamo da chi o da cosa difenderci. Come rispondere però ai tanti pazienti che chiedono informazioni e decisioni ai propri reumatologi, soprattutto a ragione delle terapie immunosoppressive in atto? Probabilmente i rischi di contagio sono diversi in ragione della malattia di base, del suo coinvolgimento d’organo, dell’età e della terapia immunosoppressiva in atto.

Di certo va valutato il rischio dell’unica vera localizzazione clinica degna di nota e ahimè spesso ad esito mortale, la polmonite. Cioè possiamo tentare di difendere le persone più a rischio della localizzazione polmonare, come in ogni epidemia respiratoria virale accade.

Una review di quattro giorni fa (3) che proviene dalla Cina esamina le cause maggiori di rischio di mortalità per malattie respiratorie nel fumo e inquinamento atmosferico, nell’obesità e nella presenza di precedente BPCO. Sono questi i pazienti probabilmente più a rischio di una localizzazione grave di una infezione da CoVid-19? Se partiamo dalle conoscenze in atto diremmo che sono loro i nostri pazienti su cui attenzionare una prevenzione più stretta.

In questi soggetti a rischio respiratorio e che abbiano una comorbilità reumatologica autoimmune consigliamo di non effettuare al momento una terapia immunosoppressiva aggressiva, mantenendoli isolati al fine di evitare una ipotesi di contagio. In alcuni casi è da valutare di sospendere solo momentaneamente una terapia o di rimandare una somministrazione.

In tutti gli altri pazienti è da raccomandare seguire le normi igieniche e di comportamento generiche diffuse dal Ministero della Salute per evitare il contagio.

In ultimo è corretto evidenziare quanto la disponibilità di ospedali attrezzati in Italia a sostenere le urgenze respiratorie e la dotazione di ossigeno terapeutico, consentono di superare la fase acuta respiratoria nella maggior parte dei soggetti colpiti dalla malattia respiratoria. Inoltre si segnala nella lettera all’editore di Signal Trasduction and Targeted Therapy già recensita in questo articolo (1), che una terapia a base di metil-prednisone ad alte dosi può essere di grande aiuto nei primi 3−5 giorni migliorando la saturazione d’ossigeno (SaO2) e la tensione arteriosa dell’O2 (PaO2)/sulla frazione respiratoria (FiO2), ed entrambe possono essere migliorate se assistite da una ventilazione meccanica invasiva (IMV). In particolare i corticosteroidi non hanno esercitato alcuna efficacia di intervento sulla sopravvivenza dei pazienti con PCN complicati sia da ARDS che da shock o lesioni multiple di organi (sette pazienti, tutti morti). Tuttavia, il trattamento con corticosteroidi nella fase di ARDS inibirebbe efficacemente la furiosa tempesta infiammatoria e guadagnerebbe tempo prezioso per il controllo dell’infezione e la prevenzione di danni e shock multiorganici secondari, il che implica che i corticosteroidi hanno effetti biologici sinergici se combinati con il trattamento con altri interventi intensivi contro pazienti con PCN gravi o fatali. Pertanto, una dose più bassa e una breve durata del trattamento con corticosteroidi (m-Pdn, <1 mg / kg di peso corporeo, non più di 7 giorni), insieme al monitoraggio delle reazioni avverse al farmaco, sarebbero più utili nella gestione clinica dei pazienti critici con 2019-nCoV.

 

Il Comitato Scientifico del CReI
(Consiglio Direttivo del Collegio Reumatologi Italiani)

 

Dieci comportamenti da seguire

 

Milano, 23/2/2020


  1. She J, Jiang J, Ye L, Hu L, Bai C, Song Y. 2019 novel coronavirus of pneumonia in Wuhan, China: emerging attack and management strategies. Clin Transl Med. 2020 Feb 20;9(1):19.
  2. Wei Zhou, Yisi Liu, Dongdong Tian, Cheng Wang, Sa Wang, Jing Cheng, Ming Hu, Minghao Fang & Yue Gao.Potential benefits of precise corticosteroids therapy for severe 2019-nCoV pneumonia. Signal Transduction and Targeted Therapy volume 5, Article number: 18 (2020)
  3. Li X, Cao X, Guo M, Xie M, Liu X. Trends and risk factors of mortality and disability adjusted life years for chronic respiratory diseases from 1990 to 2017: systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2017. BMJ. 2020 Feb 19;368:m234